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Come nacquero Frankenstein e il nobile vampiro

Tutto successe in un incredibile weekend di paura. Una storia vera

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Il 15 e 16 giugno del 1816, l'”anno senza estate”, nacquero insieme, in un insolito gioco di società, due tra i più celebri miti della narrativa horror: il Vampiro e Frankenstein

 

Il 1816 fu un anno infelice dal punto di vista climatico.

Oggi siamo abituati a lamentarci delle variazioni metereologiche, che tendiamo ad attribuire all’inquinamento industriale, ma quell’anno si verificò un vero e proprio sconvolgimento, con temperature che rimasero molto al di sotto delle medie  e impedirono alla bella stagione di sbocciare, con immensi danni all’agricoltura, in particolare quella nordamericana, trainante a livello mondiale.

Non è un caso che il 1816 viene ricordato anche col nome, ancora più infausto, di “anno della poverta’.

Secondo le interpretazioni attuali, causa dell’ ondata di gelo fu la violenta eruzione del vulcano Tambora in Indonesia che saturò di cenere gli strati superiori dell’atmosfera schermando il calore solare.

L’estate del 1816 procurò disagi non solo alle classi popolari, ma anche a quelle più agiate, a cui apparteneva  l’irrequieto poeta George Byron.

Costui, rampollo di un nobile casato inglese, nella primavera di quell’anno era stato costretto ad abbandonare l’Inghilterra a causa dello scandalo suscitato dal suo controverso matrimonio, finito con una tumultuosa separazione.

Byron decise di stabilirsi, assieme al proprio segretario e medico personale John Polidori, nella splendida Villa Diodati, sul lago Lemano, nei pressi di Ginevra,  che due secoli prima aveva ospitato uno dei padri della letteratura inglese,  John Milton.

I piani per una piacevole vacanza andarono ben presto in fumo: sul lago i viaggiatori  inglesi invece dell’usuale tiepida estate trovarono un freddo e burrascoso inverno.

Tuttavia il soggiorno, grazie ad un prezioso incontro, si rivelò comunque interessante.

Lì vicino risiedeva l’altro grande poeta anglosassone Percy B. Shelley, assieme a due amiche: Mary Wollstonecraft Godwin, e la di lei sorellastra Claire Clairmont.

Poiché il maltempo imperversava, impedendo di uscire all’aperto, i cinque, su invito di Byron, si riunirono a Villa Diodati.

Il forzato confinamento del gruppetto nella bella dimora ebbe due effetti significativi.

Innanzitutto, fece scoccare la scintilla amorosa  tra Shelley e la Wollstonecraft e tra Byron e la Clairmont.

Ne nacquero due matrimoni, più stabile  e duraturo quello della prima coppia, traballante e contrastato come tutte le relazioni sentimentali di Byron il secondo.

L’altra conseguenza della lunga coabitazione  fu davvero eccezionale.

Nel fine settimana del 15 e 16 giugno, il tempo fu particolarmente cattivo, e i cinque amici, tutti letterati o comunque persone di elevata cultura, decisero di combattere la noia inventando un passatempo ispirato proprio alla situazione.

Poiché si trovavano in un’abitazione solitaria in un paesaggio livido e crepuscolare, sotto un cielo plumbeo che scaricava  continui acquazzoni, si sfidarono a comporre una storia cupa ed inquietante intonata all’atmosfera.

Tutti si aspetterebbero che dalla singolare e sofisticata gara uscissero vincitori Byron e Shelley, scrittori già affermati.

Invece non andò così: i migliori racconti horror li produssero Mary Wollstonecraft e John Polidori.

Non basta. I parti letterari del medico del padrone di casa e della futura signora Shelley diedero vita a due personaggi destinati a superare, in popolarità, l’intera opera degli altri due contendenti, pur unanimemente considerati la massima espressione poetica del Romanticismo britannico.

Si tratta, per quanto riguarda Mary Shelley, di Frankenstein, l’essere mostruoso fatto di pezzi di cadaveri e animato con una scarica elettrica, che continua ad affascinare i lettori e soprattutto gli spettatori di tutto il mondo per le innumerevoli trasposizioni cinematografiche realizzate.

Non meno singolare è il caso del protagonista del racconto di Polidori, intitolato “Il vampiro”.

Al sentire questo nome il pensiero di tutti andrà al celeberrimo Conte Dracula, protagonista del romanzo di Bram Stoker.

Tuttavia il libro di Stoker è stato pubblicato 81 anni dopo il “week end” col brivido in cui Polidori sfornò  il suo “Il vampiro”.

Dracula, dunque, non ha la primogenitura  nel filone letterario “vampiresco”.

Il personaggio della storia di Polidori, il tenebroso e dissoluto aristocratico inglese Lord Reuthven, che gode nel mandare in perdizione le sue vittime e le uccide privandole pian piano dell’energia vitale,  ha indiscutibilmente fornito il calco per la popolare figura di Dracula, il Conte transilvano che si trasferisce a Londra per diffondervi il contagio vampiro.

Rino Casazza 

Tutti i libri di Rino Casazza:

 

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si é trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora a Milano. E’ da sempre un appassionato (come lettore, prima che come autore) della letteratura "di genere" in tutte le sue sfaccettature: giallo-noir, horror, fantascienza ecc. ecc. Altra sua grande passione sono il cinema, come testimonial la tesi di laurea sulla censura cinematografica, e il teatro, frequentato non solo come spettatore ma anche, in gioventù, come praticante dilettante. Il suo primo testo "letterario" è infatti la trasposizione teatrale della novella di Buzzati "Iago", di cui nel 1985 ha osato una regia. Ha pubblicato diversi thriller, tra cui "La logica del Burattinaio", scritto con Daniele Cambiaso ed edito da Algama, ispirato al serial killer bambino William Vizzardelli. Specializzato sui romanzi apocrifi sugli investigatori più noti di sempre, il suo ultimo giallo è "Sherlock Holmes, Padre Brown e l'ombra di Dracula"

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Il fantasma della dama nera di Milano

Quando fu visto per l’ultima volta il fantasma della “dama nera” nel parco del Sempione di Milano?

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Quando fu visto per l’ultima volta il fantasma della “dama nera” nel parco del Sempione di Milano?

(D.F. di Pavia)

Sembra che l’ultima apparizione della “dama nera” risalga alla fine dell’Ottocento, e questo fantasma appariva nel cuore della notte e sempre in preda a smanie amorose incontenibili. Era sempre vestita di nero e anche il volto era coperto da un velo nero. Alcuni ritennero che si trattasse di una certa Angelina Costa, amante di uno Sforza, che finì per ucciderla ritenendo di essere stato tradito.

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Perché Dio creò Eva da una costola? Non poteva scegliere un piede?

Più volte mi sono chiesto perché il Padreterno abbia scelto la costola di Adamo per creare la donna, ma non poteva scegliere una mano o un piede?

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Più volte mi sono chiesto perché il Padreterno abbia scelto la costola di Adamo per creare la donna, ma non poteva scegliere una mano o un piede?

(Carmine di Benevento)

Le rispondo con le parole del Talmud: “Dio si chiese quale parte del corpo dell’uomo avrebbe dovuto formare la donna. Non è opportuno scegliere la testa, pensò, per non infondere nella donna il senso di superiorità, e non è giusto scegliere l’occhio affinché questa non sia troppo curiosa, come non va scelto l’orecchio per non invogliarla ad ascoltare dietro le porte, né la bocca affinché non sia troppo chiacchierona, né la mano affinché non si abbandoni alla prodigalità, né il piede affinché non esca continuamente da casa. Sceglierò una costola, concluse il Padreterno, perché questa rimane nascosta, affinché la donna sia modesta e umile.”

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La leggenda della donna che allattò il padre condannato a morire di fame

Ho sentito parlare della “colonna lattaria”, e mi piacerebbe sapere dove si trova e qual è la sua leggenda.

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Ho sentito parlare della “colonna lattaria”, e mi piacerebbe sapere dove si trova e qual è la sua leggenda.

(Danilo di Rieti)

La “colonna lattaria” si trova presso la chiesa di San Nicola in Carcere, al Foro Olitorio di Roma, e sembra che qui venissero deposti e abbandonati alla carità della gente i bambini lattanti. Una leggenda racconta però che da queste parti una donna romana, durante la prima guerra punica, avesse nutrito con il proprio latte il padre condannato a morire di fame. Questa leggenda ispirò tra il Seicento e l’Ottocento diversi poeti e pittori, tra i quali va ricordato anche Gioachino Belli.

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